Video
↘ Bottega di Paolo Boni, Zelina Picard-Boni
Paolo Boni nel suo laboratorio, 7 impasse du Rouet Parigi XIV © Cuchi White
↘ Intervista a Mario Boni, stampatore calcografico
Mario Boni e Paolo Boni al lavoro sulla stampa di una grafiscultura – anni ’80 © Cuchi White
↘ Intervista a Paolo Boni: Vittorio Ottanelli
↘ Film di Christine François, per l’EXPO 2018
Per Paolo Boni
I miei ricordi di Paolo Boni e sua moglie, Cuchi, risalgono a molto lontano. Eppure mi sembra ieri quel quando Paolo e Cuchi ci avevano portato a fare un giro – mio padre, Gino Severini, mia madre e me, che avevo appena sedici anni – nella loro piccola auto. Un giro lontano da Parigi per visitare la Malmaison et un angolo della foresta di Chantilly. Conservo ancora delle foto di quella scampagnata. L’incontro coi due pittori toscani, con cui abbiamo subito simpatizzato, mi pare debba datare dell’inizio degli anni cinquanta, quando ci siamo trasferiti a Parigi dopo sei anni di quasi isolamento in periferia, a Meudon. La simpatia, che fu immediata, andava di pari passo con la stima che mio padre aveva per quel giovane artista, con cui, in più, condivideva le origini, radicate in una terra benedetta dal “dio delle arti”!
A proposito di toscani, già nel 1906, un primo incontro lungo un boulevard di Parigi con Modigliani, li aveva fatti guardare per riconos-cersi come italiani prima di tutto, ma anche, subito dopo, come toscani. Per nominare un altro dei “vecchi”, mi ricordo del pittore Magnelli, fiorentino, con chi mio padre non aveva troppi contatti artistici, ma la comune formazione toscana rese i loro incontri conviviali. Un aneddoto simpatico sottolinea la famigliarità che si è creata con Paolo e mio padre che, avendo appreso che Boni era nativo del paese natale di Giotto, gli rimprovera di non averglielo detto prima. Durante un viaggio in Italia, dove ebbero l’occasione di ritrovarsi a Firenze, approfittò di farsi accompagnare da Boni a Vicchio e, davanti alla casa di Giotto, senza farsi notare, ne prese un chiodo in legno che conservò tutta la vita preziosamente come una reliquia!
Non si può evocare Paolo Boni senza parlare di sua moglie, Cuchi White, magnifica fotografa, un’artista che sapeva unire la conoscenza del suo mestiere ad una sensibilità piena di poesia e di luce, come testimoniano molti dei suoi bei libri. Tutti e due venivano sovente all’atelier di rue Schœlcher verso fine pomeriggio, qualche volta erano attesi, altre no, sapevano che mio padre interrompeva volentieri il suo lavoro per conversare d’un po’ di tutto, soprattutto delle ultime esposizioni visitate, farne delle critiche o degli apprezzamenti (quest’ultimi sempre in numero minore rispetto ai primi!). Le loro opinioni convergevano quasi su tutto, anche sulla politica, che non mancava di “imprevisti” all’epoca. Il tempo passava e la sera arrivava senza che ce ne accorgessimo, fortunatamente i Boni non abitavano lontano e ci si lasciava con la promessa di rivedersi al più presto.
Purtroppo, la scomparsa di mio padre, che aveva una buona generazione di differenza da loro, e il fatto che mia madre, poco tempo dopo, venne a vivere da me a Roma, non ha più reso possibile degli scambi frequenti, ma il nostro legame con i Boni non si è mai spezzato.
Ci sono state delle occasioni a Roma, il passaggio dei Boni dalla nostra amica comune Luciana, la vedova del pittore Franco Gentilini – un altro toscano, di Pisa – facilitava i nostri incontri, e poi c’erano i miei soggiorni parigini, durante uno dei quali ho potuto visitare l’atelier di Paolo a Alésia. Vero atelier di un vero pittore.
Resta ancora molto da dire su quest’amicizia, ma non ho le competenze per approfondire et citare le loro idee comuni sull’arte e anche di quelle differenti per affrontarne i problemi, altri hanno le compe-tenze per farlo meglio di me. So, invece, che mio padre ha molto apprezzato il sostegno interessante di questo giovane artista verso di lui, un collega più anziano cui sapeva risollevare il morale artistico e fisico. Devo concludere questa testimonianza affettuosa parlando di Cuchi, che ha contribuito a rendere gli incontri ancora più calorosi con il suo modo di parlare molto particolare che mescolava l’accento fiorentino, quello francese e quello americano e che la rendevano unica, come unica era la loro coppia cosi ben complementare.
Romana Severini Brunori
Roma Novembre 2017
Paolo Boni nello studio con Severini, Parigi 1954 © Cuchi White
Jeanne, Romana, Gino Severini e Paolo Boni nel 1953 © Cuchi White