Paolo Boni nel suo laboratorio di Parigi, Impasse du Rouet © Cuchi White
Giorgio Agnisola
paule gauthier
michelangelo masciotta
georges perec
Vanessa Noizet
par Giorgio Agnisola
L’ART DE PAOLO BONI
Boni, il est vrai, part d’une acquisition intelligente des expériences les plus profondes de l’art du XXe siècle (surtout de la recherche cubiste et de ses techniques d’assemblage, mais aussi du surréalisme et de l’abstraction informelle), récupérées toutefois entre les termes d’un langage personnalisé, résultat d’acquisitions raffinées et successives, d’élaborations que l’on devine être longues et conduites avec une attention contrôlée.
Boni s’en remet généreusement à la recherche et à ses résultats possibles et imprévus; il reste, toutefois lucidement en position d’écoute, pour ainsi dire il exerce un certain contrôle sur l’expression. Il recourt aux suggestions qui dérivent de son expérience et il a un soin méticuleux de la technique. Si bien que dans ses œuvres on trouve en parfait équilibre, parfois avec une heureuse synthèse lyrique et formelle, la préfiguration et l’impulsivité, la géométrie et l’émotion.
Il s’agit là d’un travail consciencieux, vérifiable à chaque passage de son art, depuis les choix du début, en équilibre instable entre la suggestion surréaliste et la scansion cubiste, jusqu’à la recherche de l’abstrait-concret d’aujourd’hui, plus dramatique, plus tendue, même formellement, où convergent inconscient et profonds motifs, au sein d’une conscience d’un dualisme lacéré, mais contenant des émotions et des suggestions qui dérivent de la vie sociale de tous les jours, des signes et des symboles récupérés aux images de la société technologique et industrielle.
Si bien que l’art de Boni, se présente comme l’image interne/externe de l’homme, presqu’un jeu subtilement équivoque, où l’on peut reconnaître l’ambiguïté elle-même et la complexité de l’être humain.
Giorgio Agnisola, Extrait du texte du livre Paolo Boni Il Fantastico e la Mecanica. Texte traduit de l’italien.
di Paule Gauthier
Sul senso delle opere di Boni si è scritto che egli rimase colpito dagli aspri paesaggi della sua provincia natale, insomma dalla fisicità dell’ambiente. Dobbiamo vedere una forma più universale, perché in lui sentimenti e atmosfera provengono dalla stessa fonte.
Se riduce la vita al senso tattile e visivo delle cose, in questa alternanza giustappone il corso del tempo e l’aspetto dell’essere. La ruvidezza e la violenza sfumano nella melodia, o suscitano la veemenza di correnti contrarie. Ma se consideriamo l’insieme delle opere, è l’aspetto equilibrato ad essere essenziale.
Paule Gauthier, Estratto dalla rivista Cimaise
di Michelangelo Masciotta
Boni, ha trovato soluzioni originali in tutte le discipline che pratica: pittura, scultura, incisione, oppure, alla confluenza di varie arti, quando sviluppa questa personalissima forma espressiva che sono i suoi bassorilievi in metallo.
Come pittore, ha sostituito delle modulazioni sottili alle opposizioni violente; ha saputo trovare, per sostituirle a semplici legami formali, relazioni profonde e intime.
Come scultore, si fa confidente della natura senza farsi prendere dall’antropomorfismo né sottoporsi a un rispetto esteriore per le apparenze. Si tratta, in verità, di una natura più segreta, che non si ammette a prima vista ma si manifesta, in una spinta che viene dall’esterno – ovvero al di sotto delle forme e degli oggetti visibili, nella punta dell’audacia plastica.
Come incisore, scava le tavole fino a forarle, sottoponendo la stampa ad una pressione così forte che rischia di essere schiacciata. Ottiene così sulla carta, altorilievi e profondi incavi tra i quali i segni corrono come trasportati dalle acque di burroni che scendono e si muovono, veloci, ai piedi delle montagne.
Il suo mondo è, oggi, il mondo dell’inaspettato: stati d’animo, durata interiore, reminiscenze, fantasie e miraggi di solitudine, trasposizioni di luci, equivalenze o contrasti di sentimenti, riduzioni o allargamenti di spazio, ritmo di pieno e di vuoto, questi sono ora i temi secondo i quali la sua opera si ordina e rinnova.
Michelangelo Masciotta, Estratto da una presentazione della mostra
di Georges Perec
PAOLO BONI, IL MECCANICO DELLA FANTASIA
La prima sensazione che si prova guardando l’opera di Paolo Boni è quella di una lotta: lotta tra il pittore e il suo quadro, lotta contro la materia, contro le forme, lotta contro lo spazio iniziale del quadro, la sua stessa cornice, questa cornice di legno ricoperta da una tela che, a prima vista, si potrebbe credere incapace di contenere l’energia ivi immagazzinata, come se il pittore avesse cercato di comprimere per un momento quelle forze, tensioni il cui incontro sembra destinato prima o poi a provocare un’esplosione …
La disposizione di questi elementi basilari costantemente ripetuti da una tela all’altra, la loro sovrapposizione, la loro disarticolazione, il loro gioco, produce questi strani trompe l’oeil che si direbbero elaborati da un meccanico dell’immaginazione che andrebbe a cercare il materiale dei suoi sogni nel profondo delle fucine, fonderie e officine.
Georges Perec, Estratto della presentazione alla Fiac
par Vanessa Noizet
GLI SPAZI IMMAGINARI. FRAMMENTI PER PAOLO BONI
“Non vedo miglior omaggio da rendergli, ora che la sua opera è giunta a termine, che rifiutare l’idea di un punto finale per vedere in quella che fu la sua impresa, fino alle ultimissime produzioni, una partenza continua, qualcosa come un ingresso nella materia incessantemente rinnovato [ ].” 1
La scrittura, così come la pittura, la scultura, l’incisione, ben prima di apparire sotto forma di opera finita davanti agli occhi dell’artista, del lettore o dello spettatore- oggetti conclusi, conchiusi nei limiti di una pagina, di una tela, di un blocco di pietra o legno, di una lastra di metallo – si manifestano innanzi tutto come un pensiero in atto, cioè che lavora ed agisce: percepirlo e renderlo esplicito, così da “trovarne l’‘ingresso”2, è il compito proprio del commentatore. Per quanto riguarda Paolo Boni, pittore nato nel 1925 vicino a Firenze e stabilito in Francia a partire dal 1954, questo “ingresso” è ancora tutto da trovare, tanto il lavoro dell’artista è rimasto fino ad oggi tutto sommato poco conosciuto.
Affermazione, quest’ultima, non priva di una certa paradossalità. Da un lato perché fino all’inizio degli anni duemila Paolo Boni non ha infatti mai smesso di esporre, in Europa e negli Stati Uniti, in mostre personali e collettive (i lettori e le lettrici interessati troveranno i nomi e le date di alcune di queste manifestazioni nei cataloghi pubblicati in queste occasioni). D’altro lato perché la sua arte fu presto notata da artisti, scrittori, storici, critici e curatori di museo, tutti concordi nel rilevarne la peculiarità nei confronti di una “scuola di Parigi” ormai sulla fine e di una scena artistica francese particolarmente frammentata.
Il pittore Gino Severini, membro del gruppo futurista negli 1910, ha così redatto una prefazione per la prima esposizione parigina di Paolo Boni, organizzata nel 1954 alla galleria Voyelle. Articoli significativi hanno valorizzato la sua produzione, come quelli di Herta Wescher e Richard S.Field, autori di opere di riferimento rispettivamente sul collage e sulla incisione o quelli dei critici Simone Frigerio e Jacques Lepahe, collaboratori regolari di alcune delle più importanti riviste francesi durante il periodo della guerra fredda: Art et Architecture d’aujourd’hui, Les Lettres françaises, etc. Gli scrittori Maurice Roche, Michel Butor e Georges Perec, vicini a Paolo Boni, hanno poi collaborato con l’artista all’elaborazione di alcune raccolte di stampe dove testi ed immagini si intrecciano abilmente, quali Chronique des Astéroïdes, Ça! oppure Métaux, su i centotrentacinque previsti, solo qualche esemplari sono stati stampati in 1985.
Questa succinta recensione della fortuna critica di Paolo Boni, se rivela quale fosse la cerchia dei rapporti professionali e di amicizia dell’artista così come la diffusione coeva del suo lavoro, non può in alcun modo esaurire la ricchezza e la coerenza della sua opera. É la ragione per la quale molti testi ne sottolineano il carattere veramente indipendente ed originale, a partire dalle ricerche pittoriche e scultoree intraprese negli anni quaranta e proseguite, poco tempo dopo, attraverso quelle inventive esperienze con l’incisione battezzate poi “grafisculture” 3 da Alfonso Ciranna in 1970.
Al contrario delle tecniche di incisione tradizionale, Paolo Boni non proceda per sottrazione successiva di materia tramite bulino o morsura all’acido, lavora il metallo soprattutto per aggiunta: quella di “frammenti metallici ritagliati” e “inchiodati” sulla matrice originale 4. Dopo i primi dipinti, ritratti e paesaggi lodati a suo tempo da Gino Severini che vi scorge l’influenza congiunta dei pittori “moderni” francesi e dei primitivi italiani -possiamo qui ricordare che Vicchio di Mugello, paese natale di Paolo Boni è anche luogo di nascita di Giotto di Bondone, le sue produzioni palesano le preoccupazioni essenzialmente formali dell’artista, nutrite dalla pratica simultanea delle diverse arti.
Alla maniera delle prove scultoree e grafiche dove domina la propensione di Paolo Boni per le superfici piane ed il rilievo, i dipinti realizzati a partire dagli anni sessanta guadagnano poco a poco in accuratezza. Senza che la matericità delle opere sia minimamente compromessa, la giustapposizione e la sovrapposizione delle forme saranno ormai predilette così come le campiture uniformi ed i contorni nettamente definiti saranno preferiti alla pennellata ed agli impasti evidenti. Se le sue prime tele sono ispirate dalle scoperte dei pittori detti fauves e dei cubisti, rappresentando motivi dai volumi fortemente geometrici, quelle successive sembrano piuttosto testimoniare l’interesse di Paolo Boni per l’opera di Fernand Léger, i suoi contrasti di forme e la sua grande plasticità.
A differenza dell’arte di quest’ultimo però, che risente una fascinazione per il mondo industriale a tal punto che le peculiarità dei corpi umani, degli oggetti e delle macchine si intrecciano tra loro, quella di Boni, l’inventore di un genere particulare di incisioni, suggerisce soprattutto una propensione per le vastità cosmiche e gli aerei, per i sogni e le utopie di cui sono veicolo, per gli spazi che aprono all’immaginazione. L’opera di Paolo Boni, così come ci appare oggi a qualche mese dalla scomparsa dell’artista, è di per se stessa un universo personale che sfugge alle controversie artistiche contemporanee ed agli “angosciosi dilemmi del figurativo e del non figurativo, dell’arte astratta geometrica o no, o del tachismo […]”5. Né astratta né figurativa perché appunto capace di essere sia l’una che l’altra, la sua arte, solo parzialmente svelata, continua a sussistere mentre lui, Paolo Boni, se n’è sfuggito tra gli spazi immaginari.